Memorie di Giulia

Memorie di Giulia è l’unico pezzo autobiografico di tutto il disco L’imboscata. Parla di una donna che Sgalambro ha conosciuto molti anni fa e che morì giovanissima. È l’episodio più classico di tutto l’album.
Fermo il contenuto biografico e l’esplicitazione del contenuto della vicenda, Battiato non dice perché sia l’episodio più «classico» de L’imboscata e perché l’abbia così profondamente coinvolto. Noi crediamo sia perché «Giulia» è la «Silvia» di Battiato-Sgalambro fin dal titolo: Memorie di Giulia pare, in realtà, una ripresa del primo verso di una delle più dense e belle poesie di Giacomo Leopardi A Silvia: «Memorie di Giulia» vale infatti «Silvia, rimembri ancor», ovvero: «Giulia, hai ancora memoria?».
A conferma il fatto che tanto nella poesia di Leopardi quanto nella canzone è centrale proprio il gioco della memoria, del muoversi della mente tra passato e presente. Data questa prima traccia, ma ancora sul piano logico-lessicale, ancora più evidente è quel «gaia e ridente» che rimanda al leopardiano «Quando beltà splendea / Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi».

Comune è anche l’età magica dei protagonisti: «giovinetto» in Battiato- Sgalambro; «limitare / di gioventù», e «giovanezza» in Leopardi. Ma una giovinezza vista da una distanza ormai siderale, come da un tempo ormai perso e irraggiungibile. In effetti, e complessivamente, tutto il testo di Memorie di Giulia, come quello leopardiano, è pervaso da nostalgiche suggestioni, espresse dai verbi coniugati all’imperfetto e al passato remoto. Non solo, ma entrambi i testi sono scanditi dall’alternarsi di momenti narrativi e di momenti di disincantata riflessione esistenziale.
Di seguito quindi alcuni accostamenti.

G. Pellicciotti, Musica, Supp. de la Repubblica, 30/10/1996
dalla «Silvia» di Leopardi alla «Giulia» di Battiato-Sgalambro
Ricordiamo che Rimembranze cioè «ricordi» s’intitola un’altra delle poesie dei Canti.
«Polvere e vanità» sono parole-mito del libro biblico Qohelet, o Ecclesiaste, fonte comune tanto a Leopardi (cfr. A se stesso, «e l’infinita vanità del tutto») quanto a Sgalambro e Battiato.
All’episodio narrativo centrale di Silvia, accostiamo la rievocazione narrativa della canzone. Da notare il «talor» che diventa un «talvolta» e muove la macchina del ricordo.
La stessa vaga contentezza e lo stesso sorriso candido, spensierato, ingenuo, dell’«età più bella», la giovinezza.
Simile la conclusione. La morte di Silvia e di Giulia. È ripresa anche la rima, fortissima, «sorte–morte».
cfr. commento a Decline and Fall of the Roman Empire, 1996
Qohelet 1,20
Del delitto, p. 60
cfr. commento a Breve invito a rinviare il suicidio, 1995

Memorie di Giulia è l’unico pezzo autobiografico di tutto il disco L’imboscata. Parla di una donna che Sgalambro ha conosciuto molti anni fa e che morì giovanissima. È l’episodio più classico di tutto l’album.
Fermo il contenuto biografico e l’esplicitazione del contenuto della vicenda, Battiato non dice perché sia l’episodio più «classico» dell’Imboscata e perché l’abbia così profondamente coinvolto. Noi crediamo sia perché «Giulia» è la «Silvia» di Battiato-Sgalambro fin dal titolo: Memorie di Giulia pare, in realtà, una ripresa del primo verso di una delle più dense e belle poesie di Giacomo Leopardi A Silvia: Memorie di Giulia vale infatti «Silvia, rimembri ancor», ovvero: «Giulia, hai ancora memoria?»
A conferma il fatto che tanto nella poesia di Leopardi quanto nella canzone è centrale proprio il gioco della memoria, del muoversi della mente tra passato e presente. Data questa prima traccia, ma ancora sul piano logico-lessicale, ancora più evidente è quel «gaia e ridente» che rimanda al leopardiano «Quando beltà splendea / Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi».

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Silvia, rimembri ancora / Quel tempo della tua vita mortale, / Quando beltà splendea / Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi.

Che pensieri soavi, / Che speranze, che cori, o Silvia mia! / Quale allor ci apparia / La vita umana e il fato! / Quando sovviemmi di cotanta speme, / Un affetto mi preme / Acerbo e sconsolato, / E tornami a doler di mia sventura. / O natura, o natura, / Perché non rendi poi / Quel che prometti allor? perché di tanto / Inganni i figli tuoi?

Io gli studi leggiadri / Talor lasciando e le sudate carte, / Ove il tempo mio primo / E di me si spendea la miglior parte, / D’in su i veroni del paterno ostello / Porgea gli orecchi al suon della tua voce, / Ed alla man veloce / Che percorrea la faticosa tela

 

 

 

Sonavan le quiete / Stanze, e le vie dintorno, / Al tuo perpetuo canto, / Allor che all’opre femminili intenta / Sedevi, assai contenta / Di quel vago avvenir che in mente avevi. / Era il maggio odoroso: e tu solevi / Così menare il giorno

Questa la sorte dell’umane genti / All’apparir del vero / Tu, misera, cadesti: e con la mano / La fredda morte ed una tomba ignuda / Mostravi di lontano

gaia e ridente




O memoria perché mi inganni, / perché come se fossi vento mi butti / questa polvere negli occhi?








Quel letto d’ottone / in cui mi accoglievi giovinetto, / il radiogrammofono che prendeva tutto, / quando ti portavo in quel caffè / ‘prego, fragole con panna’ dicevo / e superbo ti guardavo mentre l’altro / mi ricambiava con disprezzo sogghignando / verso te… Talvolta si dormiva tutti e tre / io tua madre e te nello stesso letto / ma che innocenza, che santa trinità / era un gesto d’affetto e di rispetto

accarezzavo le tue ginocchia / e il tuo semplice cuore era contentogaia e ridente… avevo (avevamo ndr.) diciassette anni.

 


E la tua foto che portai / tanti anni addosso prima che un cassetto / l’accogliesse e la sbiadisse, / seppi della tua morte / e rividi i tuoi boccoli / e sul tuo viso la sorte

La «lacrimata speme», la delusa speranza «cara compagna dell’età mia nova» di Leopardi rivive così nel più distaccato annuire della canzone: «Ho avuto delle gioie, sì», ma si sottintende anche che esse siano irrimediabilmente perdute. Il tono nostalgico di entrambi i testi si rivede poi nelle esclamazioni patetiche: «che pensieri soavi, che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia la vita umana e il fato» in Leopardi; «che innocenza, che santa trinità» in Battiato-Sgalambro. Ma non è solo questo, anche la speranza cade: «All’apparir del vero / Tu, misera cadesti» in Leopardi, così come, in Battiato-Sgalambro, è portata via dal vento insieme ad ogni cosa. «Il vento frizzante del mattino / si portava via ogni cosa». Del resto, forse, questi due versi possono allora essere accostati all’epilogo completo: «All’apparir del vero / Tu, misera, cadesti: e con la mano / La fredda morte ed una tomba ignuda / Mostravi di lontano» dove il vento vale, ancora una volta, come segnale di precarietà e transitorietà di tempo e di «vita mortale». Rimandando al nostro commento a Decline and Fall of the Roman Empire, ricordiamo del Qohelet almeno l’incipit, ovvero le parole ebraiche «havel havelin», variamente tradotte come «vanità delle vanità» o «polvere di polveri», in coerenza al passo successivo: «tutto viene dalla polvere e tutto torna in polvere».
Di Sgalambro si veda anche il passo: «gli eventi… come se provenissero da quella ‘lontananza’ in cui tutto sarà polvere».

Dato tutto questo, Sgalambro dice (cfr. intervista in calce) che canzoni come queste sono piccoli lieder «d’alleggerimento» e, in effetti, non ci troviamo di fronte ad uno dei testi più impegnativi scritti dal duo. Perché Battiato allora accetta con assoluto entusiasmo il testo proposto da Sgalambro che ne è probabilmente il maggior autore? Perché Leopardi è tout court uno dei poeti più amati da Battiato, come egli stesso afferma nell’intervista a Luca Cozzari (riportata in calce). Proviamo allora a dare conferma di questa predilezione segnalando alcuni di questi «incroci» e «climi comuni» seguendo, in parte, Luca Cozzari.

Frammenti
La donzelletta vien dalla campagna in sul calar del sole… d’in su la vetta della torre antica passero solitario cantando vai… finché non muore il giorno

Summer on a solitary beach
Mare mare mare, voglio annegare / portami lontano a naufragare

Summer on a solitary beach
lontano un minatore bruno tornava



Tramonto Occidentale
mi piace osservare i miei concittadini specie nei giorni di festa


Temporary road
solitario me ne vo per la città / l’aria calma dei dì di festa

Le sacre sinfonie del tempo e Breve invito a rinviare il suicidio
Guardando l’orizzonte, un’aria di infinito mi commuove anche se…


Anatol, p. 91
Un giorno bisognerà certo spararsi ma intanto viviamo… Vi autorizzo a uccidervi, sì, ma solo in un momento di gioia

Il sabato del villaggio
Passero solitario




L’infinito
e il naufragar mi è dolce in questo mare

La sera del dì di festa
lunge il solitario canto dell’artigian che riede a tarda notte… al suo povero ostello

Il sabato del villaggio e La sera del dì di festa
il dì festivo
dì della festa

Passero solitario, Il sabato del villaggio e La sera del dì di festa


L’infinito
Sempre caro mi fu questo ermo colle, / e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il sguardo esclude ma…

Operette morali, Dialogo di Plotino e Porfirio