Lettera al Governatore della Libia
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¶Presso una casa antica e bella
piena di foto di regine e di bandiere
aspettavamo il console italiano.
¶La fine dell’estate fu veloce
nuvole nere in cielo e qualche foglia in terra
carico di lussuria si presentò l’autunno di Bengasi.
¶Lo sai che è desiderio della mano
l’impulso di toccarla.
¶Ho scritto già una lettera al Governatore della Libia.
I trafficanti d’armi occidentali
passano coi ministri accanto alle frontiere
andate a far la guerra a Tripoli.
¶Nel cielo vanno i cori dei soldati contro Al Mukhtar e Lawrence d’Arabia
con canti popolari da osteria.
¶Lo sai che quell’idiota di Graziani
farà una brutta fine.
Ho scritto già una lettera al Governatore della Libia.
Lettera al Governatore della Libia, scritta per Giuni Russo nel 1981 (nell’album Energie) ma cantata anche da Battiato in Giubbe Rosse nel 1989, fa riferimento a Rodolfo Graziani (1882-1955), che dal 1922 al 1931 dominò la Tripolitania e la Cirenaica. Dopo essere stato governatore della Somalia e viceré d’Etiopia, dove perseguì una politica di spietata repressione, allo scoppio della seconda guerra mondiale venne nominato Capo di Stato Maggiore dell’esercito. Nel 1940 gli fu affidato il governo della Libia e il comando delle forze armate dell’Africa settentrionale. Condannato nel 1949 a diciannove anni di carcere per collaborazionismo, fu amnistiato nel 1950 e divenne presidente onorario del Movimento Sociale Italiano nonché deputato della Repubblica.
Difficile la comprensione del testo della canzone, non il suo fascino che viene però maggiormente illuminato da una precisa risposta di Battiato alla domanda su che «cosa tratta» la canzone:
Non è una storia vera. Lo chiamerei un gioco. Mi ha sempre divertito rivisitare la storia in forma di ricordo inventato. L’ho fatto anche in Prospettiva Nevskij quando canto «per caso vi incontrai Igor Stravinskij». Nella Lettera ho immaginato il periodo della dominazione italiana, il colonialismo visto dall’ambiente dei consolati. C’è una battuta feroce contro Graziani. Si tratta di un testo totalmente inventato sulla base di dati storici, di una canzone vagamente sociale scritta per denunciare un avvenimento politico (…) nel testo della canzone, come in altri casi, mescolo il vero al falso, racconto di me e di altri. Mi piacciono queste commistioni.
Dopo aver sottolineato, sul piano della forma, che la risposta di Battiato ci informa di una strategia artistica che proseguirà anche durante la sua collaborazione con Sgalambro, concludiamo con una riflessione sul piano contenutistico, soffermandoci in particolare sul «Graziani farà una brutta fine», dopo aver segnalato le immagini che segnano la fugacità della vita e l’importanza di resistere alle tentazioni.
Naturalmente Battiato non dice nulla rispetto al fatto che storicamente Graziani riuscì invece «a farla franca», e cioè la lettera contro di lui non esiste o non avrà effetto, ma questo è vero solo sul piano apparente: nella prospettiva della reincarnazione ogni azione avrà una sua conseguenza. Ecco perché Battiato è certo che «Graziani farà una butta fine», perché si è macchiato di crimini orrendi che hanno segnato e segneranno il suo karma. Ed ecco perché abbiamo ritenuto opportuno un commento: di solito nel parlare di questa canzone ci si limita a segnalare la bellissima voce di Giuni Russo e invece crediamo sia la prima canzone dove Battiato parla della sua fede nella reincarnazione. Ed ecco perché recuperarla in un disco dove compaiono questi versi diretti e limpidissimi: «anch’io a guardarmi bene vivo da millenni / e vengo dritto dalla civiltà più alta dei Sumeri (…) Mi piacciono le scelte radicali… Socrate… Majorana… Landolfi… Michelangeli». A completare questo pantheon di eroi positivi era necessaria una figura negativa. Graziani non è qui dunque un personaggio storico ma un tipo d’uomo. Battiato ripeterà questi concetti in almeno tre canzoni (Povera patria, Ermeneutica, Inneres Auge) dedicate ai mafiosi della politica, dei giornali, delle dittature (Pinochet, Berlusconi, Bush). Ma si presti attenzione a credersi tra i non coinvolti, a credersi tra i salvati e gli innocenti: questa favola invece parla di noi! Dice Cristo (e Battiato lo sa): «Chi è senza peccato scagli la prima pietra!» Estote parati!
«La mano sul fuoco non la metterei per nessuno, neanche me stesso» dice Battiato.
Dunque diffidare fino all’ultimo di noi stessi, nella consapevolezza della nostra mai estinta possibilità di cedere e passare dall’altra parte, dalla parte dell’infame Maresciallo Graziani. E, più ancora, di chi sta dietro di lui. Ecco di cosa parla, con assoluta durezza, la nostra favola e la voce ammaliante di Giuni Russo.
Lettera al Governatore della Libia, scritta per Giuni Russo nel 1981 ma cantata anche da Battiato in Giubbe Rosse nel 1989, fa riferimento a Rodolfo Graziani (1882-1955), che dal 1922 al 1931 dominò la Tripolitania e la Cirenaica. Dopo essere stato governatore della Somalia e viceré d’Etiopia, dove perseguì una politica di spietata repressione, allo scoppio della seconda guerra mondiale venne nominato Capo di Stato Maggiore dell’esercito. Nel 1940 gli fu affidato il governo della Libia e il comando delle forze armate dell’Africa settentrionale. Condannato nel 1949 a diciannove anni di carcere per collaborazionismo, fu amnistiato nel 1950 e divenne presidente onorario del Movimento Sociale Italiano nonché deputato della Repubblica.
Difficile la comprensione del testo della canzone, non il suo fascino che viene però maggiormente illuminato da una precisa risposta di Battiato alla domanda su che «cosa tratta» la canzone
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