L'era del cinghiale bianco
zoom testo+ –
¶Pieni gli alberghi a Tunisi
per le vacanze estive
a volte un temporale
non ci faceva uscire
¶un uomo di una certa età,
mi offriva spesso
sigarette turche,
ma spero che ritorni presto
l’era del cinghiale bianco.
¶Profumi indescrivibili
Nell’aria della sera
studenti di Damasco
vestiti tutti uguali
¶l’ombra della mia identità
mentre sedevo al cinema oppure in un bar
ma spero che ritorni presto
l’era del cinghiale bianco.
Sinteticamente possiamo dire che L’era del cinghiale bianco è un testo iniziatico. Avremo modo di mostrarlo ma intanto una riflessione, paratestuale, sul titolo che, non a caso e lo preciseremo, si riconnette, anche, al misticismo esoterico di René Guénon. Infatti, per quel che riguarda la locuzione «L’era del cinghiale bianco» (che indica l’album del 1979 e canzone omonima), dobbiamo subito rilevare che la troviamo, con assoluta precisione, in un’opera di Guénon intitolata Il Re del Mondo. Non solo, ma il simbolo del cinghiale si trova ancora in almeno due altri volumi di Guénon, Autorità spirituale e potere temporale e Simboli della scienza sacra di cui daremo notizia più avanti ma dove si legge, anticipiamo, «il cinghiale caledonio era bianco». La Caledonia era il nome dato nell’antichità alla Britannia Settentrionale e all’attuale Scozia e Guénon precisa che è «propriamente il paese dei Kaldes o Celti», questi ultimi da intendersi tout-court come «una casta sacerdotale». È ancora Guénon a spiegarci il valore di «bianco»: «La sintesi di questi sette colori è il bianco, colore che è attribuito universalmente all’autorità spirituale suprema – non è senza ragione, dunque, che nella gerarchia cattolica il Papa è vestito di bianco». In coerenza con tutto questo -Guénon è stato vicinissimo al sufismo- un altro verso di Battiato: «nei vestiti bianchi a ruota / echi delle danze Sufi».
Ferma questa prima traccia, diciamo più apertamente e più precisamente che L’era del cinghiale bianco descrive, in maniera criptica e simbolica, un percorso iniziatico. «Il testo di questa canzone è un inno esplicito al ritorno dell’Età dell’Oro della tradizione mediterranea, è il Satya Yuga di cui parlano i Veda, un mondo primigenio in cui uomini e Dei frequentano la stessa terra e lo stesso cielo, senza schiavi né padroni, con i frutti che crescono spontanei dagli alberi e le messi che imbiondiscono senza cura materiale e gli animali feroci mansuefatti». Una buona lettura e una buona interpretazione (avviata tra l’altro da Battiato negli anni) ma ellittica. Viene cioè spiegato così il senso del ritornello ma non la dinamica del racconto o, meglio, dell’esperienza esistenziale che Battiato vuole comunicare, a nostro avviso, con l’intera canzone.
Per comprendere queste affermazioni, e più ancora il senso della canzone, dobbiamo allora iniziare con l’osservare che, come capita spesso in Battiato, la narrazione de L’era del cinghiale bianco è simbolica e caratterizzata da un’apparente inversione logica: la situazione psicologica di partenza (una crisi di identità) non si trova cioè nella prima strofa, ma alla fine della seconda strofa, ovvero il nucleo centrale della canzone è «l’ombra della mia identità», ossia un offuscamento della «mia identità» e il conseguente percorso di rischiaramento e di purificazione. Questo narra la canzone -una crisi di identità e la sua iniziatica risoluzione- ma non in maniera consequenziale e cronachistica ma attraverso un suggestivo percorso ellittico e simbolico.
A conferma di questa traccia interpretativa, in un altro contesto comunque vicino temporalmente, Segnali di vita (1981), troviamo: «si sente il bisogno di una propria evoluzione / sganciata dalle regole comuni / da questa falsa personalità», dove «falsa personalità» equivale a «l’ombra della mia identità» e, anzi, i versi ora citati sono una parafrasi esatta dell’intero percorso iniziatico suggerito (e certamente non descritto) da L’era del cinghiale bianco. Ne viene che sia utile ricordare, sempre in questo senso e a mostrare la coerenza dell’intera opera di Battiato, alcuni versi di un testo di molti anni successivo, Le aquile non volano a stormi (2004): «salta su un cavallo alato / prima che l’incostanza offuschi lo splendore»; l’incostanza è, in realtà, la mancanza di ordine, disciplina, studio, quest’ultima parola-concetto chiave come vedremo in L’era del cinghiale bianco. Un’ulteriore conferma da Running against the grain (2001): «Ho attraversato la vita inferiore / seguendo linee per moto contrario / sfruttando per le mie vele / flussi di controcorrente / cercando sempre le cause / che mi hanno insegnato ad andare / con disciplina anche contro le mie inclinazioni»; e sinteticamente, e ritornando agli anni Settanta-Ottanta: «cerco un centro di gravità permanente».
Pulcini: Il famoso centro di gravità permanente ha a che fare con la scuola di Gurdjieff? E che cosa significa?
Battiato: La base della scuola di Gurdjieff è la ricerca del centro di gravità permanente. È il grado di coscienza del sé. Anche se sono varie le “possibilità di perfezione” del proprio Sé. È quel grado di conoscenza che ti porta a una tua verità personale che, come conseguenza, si riflette all’esterno in una proiezione di giustizia e precisione… una specie di centro interiore… il centro perfetto è veramente difficile da raggiungere.
Di «centro immobile» parla però anche Guénon. E precisa, in altro contesto, che «il centro immobile è immagine del principio immutabile» ed è presente in «tutte le dottrine tradizionali, sia orientali sia occidentali» e ricorda anche il «motore immobile di Aristotele». Altrove ancora Guénon sottolinea che «il centro immobile» è «lo stato del saggio perfetto» e «non può essere raggiunto improvvisamente».
Sul sincretismo mistico, evidente nelle citazioni sopra riportate, e che contraddistingue sempre il dettato di Battiato, sia a livello lessicale che ideologico, torneremo in seguito, mentre è importante prima riflettere sul secondo personaggio della canzone: «un uomo di una certa età». È una presenza benefica, forse un padre, forse, più esattamente, un maestro anziano che offre un dono iniziatico, la sigaretta, e forse ha un valore anche il fatto che sia turca: Konya, uno dei centri del misticismo sufico islamico, un punto di riferimento tanto per Guénon quanto per Battiato, è in Turchia. Forse però è più rilevante notare che la parola «Età» sia sinonimo di Era e che quindi l’Uomo Benefico (il Maestro iniziatico) sia legato, in qualche modo, all’Era del Cinghiale Bianco, legato cioè ad una Certa Età, a una Certa Era e comunque a un’altra dimensione spirituale; è dunque per questo che egli è un Maestro Benefico, per il suo legame con un’Età caratterizzata da una forte dimensione spirituale. Importante ricordare il passaggio dell’intervista di Pulcini a Battiato:
Pulcini: Che cosa è il cinghiale bianco?
Battiato: Il cinghiale bianco era il simbolo dell’autorità spirituale presso i Celti. Infatti nella canzone canto: «Spero che ritorni presto / l’era del cinghiale bianco» per sottolineare il fatto che fin da quando è caduto il mondo, vi è sempre stato un conflitto tra autorità spirituale e autorità temporale per il predominio di una sull’altra. L’autorità temporale non ha mai accettato l’autorità spirituale, e ciò ha provocato sempre questa caduta».
È qui evidente, come in altre canzoni dell’album, in particolare Il Re del Mondo e Magic shop, l’influsso delle letture di René Guénon e una sua rielaborazione sincretica. Segno di questo persino la copertina dell’Era del cinghiale bianco che, pur non essendo frutto diretto dell’arte di Battiato, è firmata, in effetti, dal suo amico Francesco Messina, e ne esprime nondimeno il pensiero, mostrando paritariamente disposti simboli esoterici di diverse tradizioni. In coerenza a questo vasto respiro interreligioso va osservato che Guénon nel suo saggio Simboli della scienza sacra analizza, ad esempio, la figura del cinghiale tracciando un parallelo fra la mitologia dei Celti, presso i quali era un animale sacro, simbolo dell’autorità spirituale, contrapposto, o meglio, correlato, all’orso, emblema del potere temporale, e la tradizione Indù. Infatti, secondo quest’altra corrente metafisica e religiosa il cinghiale (varâha), oltre ad essere il terzo dei dieci avatar di Vishnu, rappresenta la Shwêta-varâha-Kalpa ovvero l’Era (o ciclo cosmico) del Cinghiale Bianco, un’età durante la quale l’uomo raggiunge la conoscenza assoluta in senso spirituale. Inoltre Battiato ha presente il volume di Guénon Autorità spirituale e potere temporale dove si afferma:
L’opposizione dei due poteri e la rivalità dei loro rispettivi rappresentati era raffigurata presso i Celti come la lotta tra il cinghiale e l’orso (…) Va detto però che i due simboli del cinghiale e dell’orso non compaiono sempre necessariamente in lotta o in antagonismo… talvolta, infatti, possono anche significare i due poteri spirituale e temporale… nei loro rapporti normali e armonici, come si può vedere in particolare nella leggenda di Merlino e Artù, i quali sono in effetti il cinghiale e l’orso.
Si presti ora attenzione, in coerenza a quanto stiamo dicendo, a quelli che possiamo definire i coprotagonisti della canzone o gli specchi rifrangenti, e in parte occultanti, della vicenda del protagonista: Battiato li chiama «trucchetti di sostituzione» e analogamente Sgalambro dirà, mettendoci in allarme verso semplicistiche lettere biografiche, che «quando uno scrive non è sempre se stesso; se adopero una chiave nella porta adopero me stesso? Attraverso me stesso adopero una cosa: la chiave».
Fermo ciò, nella prima strofa (prima dell’intervento benefico dell’«Uomo d’una Certa Età») abbiamo solo una massa di «vacanzieri» (Gurdjieff -che era, come vedremo, uno dei punti di riferimento di Battiato in questo periodo- direbbe di «addormentati»); nella seconda troviamo invece degli «studenti», ovvero dei discepoli sulla via di quello che ancora Gurdjieff chiama il «risveglio», dunque un plotone compatto e ordinato di «risvegliati». L’idea di una milizia spirituale è data dall’espressione «vestiti tutti uguali»; non è casuale poi il fatto che gli studenti siano «di Damasco», antichissima città della Siria e una delle capitali della cultura araba e sufica, che costituisce il substrato ideologico-geografico tanto di Guénon quanto di Gurdjieff, i maggiori riferimenti di Battiato in questo periodo.
Il richiamo a Guénon ci apre però un’altra deriva logica mistica geografica che non credo pretestuosa e che ci porterà a dire che gli studenti di Damasco sono coloro che hanno intrapreso un percorso di rinascita spirituale. In primo luogo la Siria è «la Terra del Sole»; poi «Guénon pensava che la terra solare (Syria) primitiva fosse identica alla Tule iperborea, vale a dire il Centro spirituale primordiale». Perciò Guénon suggerisce che sarebbe meglio, «nonostante l’uso prevalso, definire la Tradizione Primordiale non iperborea ma semplicemente boreale», affermando così «senz’equivoci la sua connessione con Borea o Terra del Cinghiale». Insomma gli studenti di Damasco stanno studiando per riconnettersi all’Era del Cinghiale Bianco, in una prospettiva di rinascita spirituale. E allora sommando i personaggi abbiamo prima i «vacanzieri», poi il «Maestro Spirituale», e poi ancora gli «studenti» iniziati. Oppure prima abbiamo Battiato disintegrato e scentrato alla ricerca di una sua perduta identità, poi l’apparizione di un Maestro iniziatico e poi il Battiato disciplinato.
Allora il ritornello esprime proprio il desiderio che al più presto si compia un completo risveglio e una completa rinascita spirituale, certamente in chiave personale, ma forse in chiave globale, «si può sperare che il mondo / torni a quote più normali». Significativo che il verbo «studiare» (e la dinamica studente/maestro spirituale) ritorni in una canzone fondamentale quale Prospettiva Nevskij (1980): «studiavamo chiusi in una stanza… (…) / e il mio maestro mi insegnò com’è difficile / trovare l’alba dentro l’imbrunire» (ritorneremo sul rapporto fondamentale di Battiato con i suoi Maestri). Da notare che qui, come nell’Era del cinghiale bianco, il Maestro Iniziatico è una figura mistica non precisata, forse Guénon, forse Gurdjieff, o forse, come dice Battiato rispondendo a una precisa domanda di Franco Pulcini, «tanti».
Notiamo solo, a proposito del percorso sincretico di Battiato, che il ritorno in Sicilia nel 1987 forse segna una parziale cesura e un cammino mistico più strettamente personale; per inciso «l’alba dentro l’imbrunire» è la rinascita dentro la morte, forse con un criptico richiamo alla teoria della reincarnazione, che diventerà esplicita nelle canzoni di Battiato a partire dal cosiddetto periodo mistico (meglio esplicitamente mistico) della fine degli anni Ottanta.
Un piccolo tassello potrebbe ulteriormente confermare questa ricostruzione complessiva: il «temporale estivo» che «non ci faceva uscire» potrebbe, infatti, simboleggiare i contrattempi e le disavventure esistenziali che possono diventare occasione di rinascita e crescita interiore. Lo schema occulto è dunque quello esplicitato in Lode all’inviolato (1993) dove al posto di un generico «temporale» si parla esplicitamente di «tempeste»: «Ne abbiamo attraversate di tempeste / e quante prove antiche e dure / ed un aiuto chiaro da un’invisibile carezza / di un custode» (dove il Custode è un Maestro iniziatico e la «carezza» potrebbe allora essere anche una semplice «sigaretta»). Ma forse è opportuno rileggere il testo intero perché ritroviamo lo stesso racconto che è nascosto in L’era del cinghiale bianco dai «personaggi inutili» («l’ombra della mia identità») al «risveglio»:
Degna è la vita di colui che è sveglio / ma ancor di più di chi diventa saggio / e alla Sua gioia poi si ricongiunge / sia Lode, Lode all’Inviolato. / E quanti personaggi inutili ho indossato / io e la mia persona quanti ne ha subiti / arido è l’inferno / sterile la sua via. / Quanti miracoli, disegni e ispirazioni… / E poi la sofferenza che ti rende cieco / nelle cadute c’è il perché della Sua Assenza / le nuvole non possono annientare il Sole / e lo sapeva bene Paganini / che il diavolo è mancino e subdolo / e suona il violino.
Dunque questa canzone ripropone esplicitamente, sia pure in modo non cronachistico, il percorso mistico e di conversione iniziatica sottointeso a L’era del cinghiale bianco.
Se tutto questo è esatto, un secondo tassello di conferma viene allora dal fatto che nella seconda strofa, dopo l’intervento benefico dell’«Uomo d’una Certa Età», al posto del negativo «temporale» abbiamo invece «profumi indescrivibili». È questo, infatti, il profumo della rinascita spirituale («Ah, quante volte un malefico vento ti colse / ma il soave profumo risaturò subito l’aria», dalla canzone significativamente intitolata Conforto alla vita).
Alla luce di tutto questo, possiamo dunque dire che, probabilmente e complessivamente, attraverso il richiamo all’«Era del Cinghiale Bianco», Battiato auspichi, per l’umanità e anche per se stesso, il ritorno a un’età, a un tempo, nel quale ogni uomo possa meglio indirizzare la propria vita in senso spirituale. Ecco dunque il senso di una frase misteriosa che troviamo in L’Era del cinghiale bianco: «l’ombra della mia identità / mentre sedevo al cinema oppure in un bar / ma spero che ritorni presto / l’Era del Cinghiale Bianco»; questa frase vorrebbe dire, con una parafrasi semplificata, «spero che presto la mia vita -dispersa nelle attività più banali, routinarie e quotidiane- torni a splendere in senso spirituale e che io possa uscire dal mio personale kali-yuga e dall’inferno della non identità». È così che, in un’altra canzone, coerentemente ma forse retrospettivamente, Battiato dice: «Ricordami come sono infelice lontano dalle tue leggi». La parola «legge», in sanscrito Dharma, è parola-chiave in Guénon e va correlata, per contrasto, al concetto di disarmonia, e declinata sia in chiave esistenziale che mondiale.
È evidente pertanto, già da quanto ora brevemente ricordato, l’influsso delle opere di René Guénon e la loro lettura, attenta e partecipe, da parte di Battiato. Se questo è vero, è evidente anche il valore della citazione che qui trascriviamo; essa, infatti, ci dà il senso di queste citazioni e criptocitazioni che vanno prese non come richiami dogmatici, ma come allusioni, come intenzioni di senso:
Battiato: Io non credo sia necessario che il pubblico abbia letto Guénon per capire le mie canzoni. È sufficiente che si risvegli quel senso di allarme che è poi la disponibilità di ciascuno di noi al mito.
Aggiungerei però a queste parole di Battiato un’importante precisazione di Guénon, il quale dichiara che «il simbolismo ha sempre molteplici aspetti»; e se questo è esatto, ne viene che, siccome mito e simboli s’intrecciano sempre, non dobbiamo chiedere un’assoluta coerenza né alle canzoni di Battiato, né ai miti e ai simboli in esse richiamati, quanto una comprensione di principio del senso che ci viene proposto e veicolato. Battiato insomma, come artista e come esoterico cercatore di verità, si limita ad alludere, in maniera libera e sintetica, a queste teorie e pagine di Guénon, principalmente ma non esclusivamente; questa è, d’altronde, la sua costante tanto artistica quanto ideologica: farci riflettere sulla necessità di dare alla propria vita una prospettiva di autenticità e consapevolezza.
Marco Travaglio: Ai tempi de La voce del padrone a chi la interpellava sul significato dei suoi testi ermetici lei rispondeva sono solo canzonette. Lo sono ancora?
Battiato: Quello era un gioco, ma non sono mai stato d’accordo con questa massima di Bennato. La voce del padrone era un’operazione programmata come divertimento frivolo e commerciale… in realtà avevo inserito segnali esoterici che sono stati ben percepiti e seguiti da molti ascoltatori. Ogni tanto mi dicono che qualcuno ascoltando i miei pezzi ha poi letto Gurdjieff e altri grandi mistici. E questo mi rende un po’ felice.
E per un’ulteriore conferma:
Battiato: Ho cantato il mio mondo (…) usando la cornice della “canzonetta” (…) La musica d’avanguardia, insieme con la musica classica dell’Ottocento, mi è servita perché ha dei ritmi e degli spessori diversi da quelli della musica leggera. Mi è servita cioè a dare più sostanza alle mie canzoni e a compiere una mediazione fra queste due culture.
Diventano chiare qui, sinteticamente, due cose. La prima è il motivo per cui Battiato predilige definirsi un compositore e la seconda la possibilità di inserire il granitico pensiero di Sgalambro nella dinamica artistica di Battiato. Ma di questo abbiamo parlato in altra sede e pure è da qui che se ne spiega la ragione. Portare la mistica nella «cornice della canzonetta».
Concludendo voglio così dire che L’era del cinghiale bianco racconta, o meglio esprime simbolicamente, appunto, un momento di crisi, di «ombra» e il percorso di rischiaramento o illuminazione, se non in chiave religiosa, probabilmente in chiave mistica:
Mi ritrovai seduto su una panchina / al sole di febbraio / un magico pomeriggio dai riflessi d’oro / e mi svegliai con l’aria di pioggia recente / che aveva lasciato frammenti di gioia.
Pulcini: Esistono bravi maestri?
Battiato: Il nostro destino dovrebbe essere quello di lottare e difenderci da certe influenze… di qui la necessità di svegliarsi e capire… un vero maestro insegna solo l’emancipazione… un vero maestro libera e non lega.
Pulcini: Il tuo maestro è stato il gurdjieffiano Thomasson?
Battiato: Tanti. Thomasson è uno di questi. Altri in Medio Oriente, anche persone che ho incontrato una sola volta. Ho avuto incontri formidabili… una volta in un monastero del Monte Athos vidi un monaco nella zona di clausura dove non si poteva entrare. Era affacciato a un balcone, di legno, a una specie di ballatoio. Questo monaco avanti negli anni mi notò. Era lontano venti metri. Lui era in basso e io in alto. Alzò la testa: aveva due raggi laser al posto degli occhi. Era penetrante. È stato un maestro senza che parlassimo… I maestri sono le tante persone che, a un certo punto, a una certa età, hanno trovato la forza di ricominciare. Una donna che a settantacinque anni si diploma in clavicembalo è un maestro. È difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire, però ci si può riuscire. L’alba è la gioventù, la capacità di cambiare, di evolvere, e l’imbrunire è la vecchiaia (…) Il mio ruolo è questo: attraverso la musica invio certi messaggi diretti alla vita interiore. Il mio compito è quello di stimolare e creare un interesse verso una certa ricerca.
La chiave di lettura deve trovarsi proprio in chiusura, in quella parte della canzone che viene giustapposta in modo innaturale alla narrazione, apparentemente cantata in un semplice grammelot esotico dall’autore in prima persona, il quale vuole forse simulare un intervento diretto del misterioso «uomo di una certa età», cioè di un uomo dell’Era del Cinghiale Bianco o Caledonio (assimilabile all’Età dell’Oro), implicitamente definito dalla locuzione a doppio senso (e dalla logica temporale) come un Veglio.
Costui, sulla base dei sibillini riferimenti alle sigarette, a Tunisi e, soprattutto, a Damasco, sembra provenire dall’area che appartenne all’Impero ottomano, o meglio dal Vicino Oriente, e si dovrebbe esprimere in una lingua particolare, plausibilmente proprio la lingua siriaca, che nel Sufismo (la dimensione esoterica della forma tradizionale predominante in quell’area) è detta anche la «lingua degli uccelli», o «ullimna mantiqat-tayri» nel Corano, ed è considerata lingua sacra.
Tuttavia non si deve pensare che tale lingua sia limitata a una parte specifica del mondo, anzi si tratta, per così dire, della lingua ufficiale o universale dell’esoterismo. Ovviamente è la lingua parlata da Adamo e dall’umanità fino a Babele, che divenne in seguito incomprensibile agli uomini, a parte gli «iniziati».
Presentandosi in varie forme, più o meno degenerate, in molti luoghi e in tempi diversi, ripullula, opportunamente cifrata, per esempio nella koiné trobadorica e nella sua rievocazione dotta in ambito tolosano nota come «Gay Saber», e, come c’era da aspettarsi, venne usata, come linguaggio segreto, anche dai Cavalieri Templari.
Forse a partire dalla variante denominata argot o argotico, documentato già nell’opera di François Villon, se ne fece anche un uso controiniziatico e quindi, al giorno d’oggi, è difficile capire in quale senso sia usata, nei vari contesti in cui si presenta.
In ogni caso, che sia proprio la «lingua degli uccelli» (o piuttosto un tentativo di riprodurla o rievocarla) è riconfermato da un’altra canzone di Battiato, in alcune versioni della quale il «grammelot siriaco» ricompare in incipit. Inutile dire che «gli uccelli», cui è intitolata tale canzone, sono proprio «gli stati superiori dell’essere», cioè gli angeli, i demoni (nel senso platonico, plotiniano e pletoniano) e, al limite, alcuni degli stessi iddii.
Una osservazione in chiusura, a proposito della chiosa della canzone e della lingua sacra: Battiato alla fine de L’era del cinghiale bianco canta dei simbolici fonemi arabeggianti.
Sinteticamente possiamo dire che L’era del cinghiale bianco è un testo iniziatico. Avremo modo di mostrarlo ma intanto una riflessione, paratestuale, sul titolo che, non a caso e lo preciseremo, si riconnette, anche, al misticismo esoterico di René Guénon. Infatti, per quel che riguarda la locuzione «L’era del cinghiale bianco» (che indica l’album del 1979 e canzone omonima), dobbiamo subito rilevare che la troviamo, con assoluta precisione, in un’opera di Guénon intitolata Il Re del Mondo. Non solo, ma il simbolo del cinghiale si trova ancora in almeno due altri volumi di Guénon, Autorità spirituale e potere temporale e Simboli della scienza sacra di cui daremo notizia più avanti ma dove si legge, anticipiamo, «il cinghiale caledonio era bianco». La Caledonia era il nome dato nell’antichità alla Britannia Settentrionale e all’attuale Scozia e Guénon […]
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