La cura
La cura
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¶Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
Dalle ossessioni delle tue manie
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare
E guarirai da tutte le malattie
Perché sei un essere speciale
Ed io, avrò cura di te
¶Vagavo per i campi del Tennessee
(come vi ero arrivato, chissà)
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
Attraversano il mare
¶Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza
Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza
I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi
La bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare
Ti salverò da ogni malinconia
Perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te …
Io sì, che avrò cura di te
Viene chiesto a Battiato: «Come lavora con Sgalambro?» e la sua risposta è: «Con La cura, ad esempio, io ho iniziato la prima parte e lui ha fatto la seconda». L’artista non precisa però quale sia la prima e la seconda parte né chi le abbia redatte. Evidente però che la responsabilità dell’esito finale è comune come è comune il progetto complessivo di un viaggio a salvezza.
Infatti credo che questo sia il senso complessivo della canzone: un percorso di liberazione da una situazione di sofferenza esistenziale («vagavo… sbalzi d’umore… ipocondria… malinconia») a una situazione di benessere (quasi) ultraterreno o dove, meglio, si è in grado di percepire il nostro «transito terrestre» e le sue naturali cadute e difficoltà in una prospettiva ultraterrena.
Affrontiamo subito, in questa prospettiva, il punto centrale della canzone che è anche il punto dove il significato, se non più oscuro, è per certo più ellittico.
Vagavo per i campi del Tennessee (…) Non hai fiori bianchi per me? / Più veloci di aquile i miei sogni / attraversano il mare.
Iniziamo con il tradurre «vagavo». Questo verbo va compreso richiamando un altro passo di Battiato-Sgalambro: «Andando a caso consideravo girando per strade vuote / che l’equilibrio si vede da sé si avverte immediatamente». Vagare è dunque andare senza meta, senza una direzione, ovvero errare, dove il sinonimo implica anche una situazione di errore e quindi di sofferenza esistenziale, cui si contrappone chi ha equilibrio e così sa dove andare. Dato questo, credo allora che la domanda «non hai fiori bianchi per me» nasca proprio da questo dialogo interiore, da questo smarrimento esistenziale che così possiamo parafrasare:
Anima mia, mentre sto vagando senza meta e in un posto lontano da casa e straniero, dove non so nemmeno come vi sia arrivato e dove i miei passi mi stanno portando, mi chiedo, e ti chiedo, se non hai nulla di delicato e gentile e puro (‘fiori bianchi’) da offrirmi per superare e consolare questa sofferenza esistenziale.
E la risposta è «Più veloci di aquile i miei sogni / attraversano il mare», ovvero una risposta di salvezza piena e immediata, capace di portare la nostra esistenza in una «zona più alta».
I fiori sono così, e per questo, «fiori bianchi», non sono cioè rose rosse, con tutto quello che implicherebbero: non siamo cioè all’interno di un rapporto di coppia e d’amore di questo tipo. Ricordiamo, ad esempio, che le vesti del Papa sono bianche, che la colomba che rappresenta lo Spirito Santo è bianca, e che anche nell’alchimia il rischiaramento è rappresentato dal bianco. E comunque il fiore ha da sempre simboleggiato l’energia vitale, la gioia di vivere, la fine dell’inverno e, persino, la vittoria della vita sulla morte.
Dunque i «fiori bianchi» rappresentano sinteticamente non solo la vittoria sul nero della Morte e della Malinconia, ma complessivamente tutte le gioie spirituali che un positivo cambio di prospettiva esistenziale ci può offrire e che vengono elencate nelle due strofe che aprono e chiudono la canzone. Non a caso la Chiesa cattolica parla di cura d’anime e istituisce la figura del curato, ovvero di colui, solitamente il parroco, che ha come compito principale quello di sanare e curare le sofferenze esistenziali e spirituali di coloro che gli sono stati affidati.
Il senso diventa così forse più evidente: La cura è l’attenzione che una parte di noi illuminata deve avere per un’altra parte di noi, della nostra anima, in sofferenza.
Questa cura, questa attenzione, è dunque l’inizio di un viaggio terapeutico terreno, ma al tempo stesso ultraterreno, oltre il tempo, «le correnti gravitazionali… lo spazio e la luce», che ci porterà a uscire dal ciclo delle sofferenze o, se vogliamo, dal vicolo cieco delle sofferenze, in questa vita e, per Battiato, nella vita ulteriore e ultraterrena.
Certi di questa lettura, potrebbe sembrare che abbiamo imposto a Sgalambro quello che è un leitmotiv di Battiato, dalla metà degli anni Settanta ad oggi: la situazione artistica ed esistenziale di errore contrapposto a un percorso di cura e guarigione.
In realtà Sgalambro segue (complessivamente e sia pure in modo originale) la proposta filosofica di Arthur Schopenhauer e quest’ultimo ci insegna proprio che dobbiamo uscire dalla cecità della sofferenza e del desiderio, per aprirci a un’altra libertà. Non a caso Schopenhauer conclude la sua riflessione occidentale con un’apertura al Buddhismo come pratica di liberazione. Ed è proprio in questa tensione verso una libertà dal dolore inutile («come piombo pesa il cielo questa notte / quante pene e inutili dolori») che si incontrano Sgalambro e Battiato.
La cura è così il risultato più alto ed esplicito di un percorso di liberazione dell’uomo ma è, anche, il punto di unità tanto della filosofia di Sgalambro quanto della prospettiva mistica di Battiato; infatti, se etimologicamente misticismo ha come radice mistero, mistico è pertanto colui che, come Battiato, si occupa del mistero della vita ed è capace di offrire una positiva soluzione: una cura, appunto.
A conferma di questa prospettiva comune, possiamo poi ricordare che «il bene è dunque attenzione all’esistenza dell’altro» è solo il primo dei molti richiami che possono essere fatti nelle opere di Sgalambro; ad esempio, l’intera opera La consolazione è dedicata a una particolare forma di cura di sé e dell’altro.
Ma ora dobbiamo allargare la nostra prospettiva per un altro fondamentale riferimento. Vi è un profondo legame tra questa canzone, La cura e un testo che Battiato e Sgalambro scriveranno tre anni dopo ispirandosi a una nota poesia di Baudelaire, Invito al viaggio, tratta da I Fiori del Male, 1857.
La cura è per l’appunto, un invito al viaggio, un invito a rinviare il suicidio, a superare una condizione esistenziale senza scampo. I «fiori bianchi» si contrappongono così ai «fiori del male», ai fiori neri della Malinconia che è il tema centrale della poesia di Baudelaire: «Parigi cambia! Ma nulla nella mia malinconia è cambiato» versus «Ti salverò da ogni malinconia». Tuttavia in Baudelaire troviamo anche: «guarire di tutto, dalla miseria, dalla malattia e dalla malinconia».
Se questo il legame, evidentissimo, tra i due testi, le canzoni di Battiato e Sgalambro sono tuttavia antitetiche rispetto alla concezione complessiva che Baudelaire mostra ne I Fiori del Male. Perché nel più grande libro di poesia della contemporaneità (il libro dal quale nasce tout court la contemporaneità, cfr. Breve manuale di semiotica delle arti contemporanee, Jachia, 2010) manca totalmente la prospettiva di una salvezza, che è invece l’obiettivo de La cura e di Invito al viaggio nella riscrittura di Battiato-Sgalambro.
Ora una necessaria precisazione: nessun testo richiamato da Battiato (e Sgalambro) è davvero solo un plagio o una citazione, ma un tassello di un progetto sempre originale e personale, e questa è una delle caratteristiche fondamentali della loro arte. Fermo ciò, il testo di Battiato-Sgalambro è un collage dei versi di Invito al viaggio di Baudelaire mentre i versi finali, in francese, sono probabilmente una ripresa e sommaria parafrasi del testo baudelairiano da parte di Battiato e Sgalambro.
Risulta evidente così che persino la straordinaria collaborazione tra Battiato e Sgalambro risponde a questa profonda strategia artistica ed esistenziale di Battiato. In nessun momento Battiato ha mai rinunciato al racconto del proprio viaggio. E a una prospettiva di autentica cura, del mondo e di se stesso nel mondo.
Abbiamo detto, ed ora in modo più esplicito, che La cura è un viaggio verso la salvezza, cioè un viaggio iniziatico di conversione. Se questo è vero, diviene opportuno riportare l’incipit di un altro grande viaggio iniziatico, La Divina Commedia: «mi ritrovai per una selva oscura… che la diritta via era smarrita… io non so ben ridir com’io v’entrai» cui corrisponde «vagavo per i campi… come vi ero arrivato, chissà». La cura è dunque un percorso diverso (retto, ovvero giusto e coerente) rispetto a un vagare disperso, disperato e spezzato. Quanto stiamo dicendo risulta particolarmente evidente nel verso «Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza» che ci mostra appunto una retta via verso l’Essenza rispetto ad una «selva oscura» dove ci si perde e ci si disperde (si rammenti che, per contrasto alla «selva oscura», i fiori sono «bianchi»).
Ricordiamo, allora, l’intento complessivo dell’opera iniziatica di Dante che è quello di (ri)condurre l’umanità da uno stato di miseria a uno stato di salvezza, percorso iniziatico che la Lettera a Cangrande della Scala illumina con una bella frase latina: «removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis», ovvero, appunto, «portare l’uomo da una condizione di miseria, sofferenza e smarrimento esistenziale a una salvezza».
Dunque una via, una strada, un iter progressivo rispetto a un ossessivo, circolare, nevrotico, vagare: questo il risultato di una Cura che è salvezza e conversione e che è in primo luogo, un diverso equilibrio con se stessi, un punto fermo nel cosmo: «Giriamo sospesi nel vuoto / intorno all’invisibile, / ci sarà pure un Motore Immobile».
Viene chiesto a Battiato: «Come lavora con Sgalambro?» e la sua risposta è: «Con La cura, ad esempio, io ho iniziato la prima parte e lui ha fatto la seconda» (intervista in Battiato, Luca Cozzari, Zona, 2005, p. 19). L’artista non precisa però quale sia la prima e la seconda parte né chi le abbia redatte. Evidente però che la responsabilità dell’esito finale è comune come è comune il progetto complessivo di un viaggio a salvezza.
Infatti credo che questo sia il senso complessivo della canzone: un percorso di liberazione da una situazione di sofferenza esistenziale («vagavo… sbalzi d’umore… ipocondria… malinconia») a una situazione di benessere (quasi) ultraterreno o dove, meglio, si è in grado di percepire il nostro «transito terrestre» (cfr. Mesopotamia, 1989) e le sue naturali cadute e difficoltà in una prospettiva ultraterrena.
Affrontiamo subito, in questa prospettiva, il punto centrale della canzone che è anche il punto dove il significato, se non è più oscuro, è per certo più ellittico.
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Dichiarazioni
La prima regola è che ciascuno si prenda cura di se stesso, per aiutare gli altri. [SETTE, 6/7/2013]
E qual è il lavoro che lei, Battiato, preferisce dell’album ‘L’imboscata’?
‘La cura’: ha una sua completezza, emozionalità e finezza.
È un canto d’amore profondo: è autobiografico?
È una canzone che ognuno può indirizzare a chi vuole: anche a un padre, a una madre o a un figlio. L’amore non è per forza a sfondo sessuale.
[TV SORRISI E CANZONI, OTTOBRE 1996]
Da dove trovi gli spunti, da dove nascono certe composizioni, certe musiche, certi testi meravigliosi che tu, Battiato, hai composto. Mi viene in mente ‘La cura’ ad esempio…
Quella è una canzone che ha un quid insondabile di ispirazione. Come ti dicevo prima, c’è una grande differenza tra il comporre canzoni come mestiere e avere ispirazione. ‘La cura’ è una di quelle che è arrivata come da una cellula superiore. È arrivata come una piccola luce a toccarmi, e mi è bastata per scrivere questo pezzo. È stata vera ispirazione. Poi col mestiere aggiusti, crei, scrivi testi, questo e altre cose. Il testo poi lo abbiamo scritto a quattro mani con Sgalambro, però la cellula è stata di ordine, di amore, veramente universale.
[GIUDITTA DEMBECH, 12/2/2005]
Alla fine della nostra vita non conteranno le nostre prestazioni e le opere compiute. Non ci sarà chiesto se eravamo cattolici o protestanti o cos’altro. Le testimonianze di esperienze di pre-morte ci dicono che prima di tutto, e soprattutto, dovremo chiederci quanto abbiamo amato.
[ATTRAVERSANDO IL BARDO; ROCKERILLA, FEBBRAIO 2014]
Per tanti anni per il pubblico oceanico sei stato incasellato come quello di ‘Cuccuruccucù’. Poi sei diventato quello della ‘Cura. Ma tu hai mai avuto o dato tanta cura a qualcuno?
Secondo me, volere veramente bene a una persona vuole dire anche non aspettarsi niente di ritorno. Sono quelle le cose segrete che mirano veramente in alto, perché se tu passi dal glorificare il tuo compagno e nell’arco di un mese diventa uno stronzo testa di c… c’è qualcosa che non va. Questo vuol dire che qualcosa ferisce il tuo orgoglio: stai amando te, o meglio: vuoi qualcuno che ti ami come tu vuoi e non accetti altro che quello. Se tu vuoi veramente bene ad una persona, invece, devi accettare l’idea che il tuo ragazzo ami un’altra ragazza e tu gli vuoi lo stesso bene. Perché non deve cambiare niente, non è in rapporto a qualcosa che ti dà ma in rapporto a quello che lui è.
[GIULIA SANTERINI, CAPITAL TRIBUNE, 5/11/2004]
‘La cura’… con Sgalambro abbiamo pensato di scrivere una canzone d’amore sopra le parti. L’amore senza interesse di ritorno. Se ami qualcuno perché vuoi in cambio qualcosa, non è più amore. Ami qualcuno per quello che è. Allora scatta la protezione, il riconoscimento dell’unicità dell’essere umano insieme alle qualità dell’individuo.
[BATTIATO, XL, NOVEMBRE 2009]