Gesualdo da Venosa
zoom testo+ –
¶Io, contemporaneo della fine del mondo
non vedo il bagliore,
né il buio che segue,
né lo schianto,
né il piagnisteo
ma la verità
da miliardi di anni
farsi lampo.
¶Concerto n° 4 in do minore
per archi di Baldassarre Galuppi
(te, piccolo, minutissimo
mazzetto di fiori di campo).
¶La settima frase di Ornithology,
l’ultima, prima della cadenza e dal da capo
via, il noto balzo da uccello, sull’ultima nota
di Charlie…
¶(Pensiero causale –
Imperativo categorico –
Ferma distinzione dell’uomo dall’animale
Teorema adiabatico!)
¶I madrigali di Gesualdo, principe di Venosa,
musicista assassino della sposa –
cosa importa?
Scocca la sua nota,
dolce come rosa.
La canzone, limpidissima, è formalmente dedicata al madrigalista rinascimentale Gesualdo Da Venosa (1560-1613), ma in realtà è una riflessione sui criteri di valutazione delle azioni degli uomini e sui criteri di valutazione morale dell’arte.
Si danno così, di fronte al tribunale della verità («la verità da miliardi di anni farsi lampo») vari esempi di comportamento umano (dall’omicidio di Gesualdo alla virtù etica di chi segue «l’imperativo categorico», l’imperativo etico: «Agisci sempre avendo come fine l’uomo e non l’uomo come strumento», «Agisci come ogni tuo comportamento potesse divenire ‘legge universale’»). E poi vari tipi di realizzazione artistica, dai madrigali di Gesualdo principe di Venosa al jazz di Charlie «Bird» Parker.
Per dare dei giudizi bisogna però avere dei criteri, ed è pertanto opportuno valutare ogni cosa alla luce di una prospettiva cosmica: «Io, contemporaneo della fine del mondo», la fine del mondo e della mia vita deve essere il criterio per dare dei giudizi che siano veri giudizi di valore. Che cosa ha davvero valore di fronte all’Eterno?
Questa domanda è il vero criterio, il vero discrimine per una corretta valutazione del mio e dell’altrui comportamento. Dato ciò, Sgalambro con Battiato afferma un principio estremamente importante (anch’esso, a mio avviso, di chiara derivazione kantiana), ovvero che vi è una netta distinzione tra le forme di giudizio etico e quello di ordine estetico. Dunque precisiamo in primo luogo i criteri del giudizio etico che connette (e deve connettere) il nostro agire con l’eterno: «agisci come se la tua azione dovesse valere fino alla fine del mondo». Completamente diverso il giudizio estetico che invece prescinde (e deve prescindere) dal giudizio etico. Ad esempio i madrigali di Gesualdo da Venosa sono arte grandissima a prescindere dal fatto che il loro autore, Gesualdo, sia un assassino.
Così scocca il bello, come una scintilla prima e poi come un fuoco in cui brucia il corpo vile del reale… questa è la trascendenza del bello… la bellezza è l’esodo da questo mondo.
Opportuno ora osservare che, come sempre in Sgalambro, la rilettura di Kant è fatta in realtà alla luce del pensiero di Schopenhauer: per il filosofo di Danzica, vero maestro di Sgalambro, la via alla liberazione dal dolore dell’esistere avviene attraverso un duro tirocinio spirituale di cui l’Arte è solo il primo livello. Più in là vi è la Compassione e la Giustizia ed infine l’Ascesi, «l’esodo da questo mondo».
Nulla di tutto questo interessa però il giovane Gesualdo. Egli «scocca la sua nota» come una freccia omicida, dolce e feroce «come una rosa».
Dato tutto questo e ferma la fondazione e la distinzione ontologica del giudizio etico e di quello estetico, Sgalambro con Battiato affronta un altro problema ovvero che cosa distingua l’uomo dall’animale. Precisa anche qui la risposta: distingue l’uomo dall’animale la capacità dell’uomo di darsi leggi in campo morale (l’imperativo categorico) e in campo scientifico (il teorema adiabatico). Nonché, naturalmente, la sua capacità, di produrre opere d’arte, ad esempio quella del settecentesco Baldassare Galuppi del Concerto in Do minore o quella del novecentesco Charlie «Bird» Parker e del suo sax in Ornithology. Sinteticamente la «ferma distinzione dell’uomo dall’animale» poggia, come ben sapeva Kant, su tre colonne: scienza (Critica della Ragion Pura, 1781), etica (Critica della Ragion Pratica, 1788), arte (Critica del Giudizio, 1790).
E non stupisce certo, in questo intreccio di scienza, etica ed arte, il veder ricomparire un vecchio amico del duo, il poeta T.S. Eliot. Suoi infatti i versi dai quali muovono quelli della canzone ed è opportuno trascriverli per un parallelo:
Charlie «Bird» Parker
La canzone, limpidissima, è formalmente dedicata al madrigalista rinascimentale Gesualdo Da Venosa (1560-1613), ma in realtà è una riflessione sui criteri di valutazione delle azioni degli uomini e sui criteri di valutazione morale dell’arte.
Si danno così, di fronte al tribunale della verità («la verità da miliardi di anni farsi lampo») vari esempi di comportamento umano (dall’omicidio di Gesualdo alla virtù etica di chi segue «l’imperativo categorico», l’imperativo etico: «Agisci sempre avendo come fine l’uomo e non l’uomo come strumento», «Agisci come ogni tuo comportamento potesse divenire ‘legge universale’»). E poi vari tipi di realizzazione artistica, dai madrigali di Gesualdo principe di Venosa al jazz di Charlie «Bird» Parker.
Per dare dei giudizi bisogna però avere dei criteri, ed è pertanto opportuno valutare ogni cosa alla luce di una prospettiva cosmica: «Io, contemporaneo della fine del mondo», la fine del mondo e della mia vita deve essere il criterio per dare dei giudizi che siano veri giudizi di valore. Che cosa ha davvero valore di fronte all’Eterno?
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È questo il modo in cui finisce il mondo / È questo il modo in cui finisce il mondo / È questo il modo in cui finisce il mondo / Non già con uno schianto ma con un piagnucolio.
Io, contemporaneo della fine del mondo / non vedo il bagliore, / né il buio che segue, / né lo schianto, / né il piagnisteo
Sono questi i versi finali degli Uomini vuoti, poesia di Eliot dove troviamo anche un altro mitologema fondamentale di Sgalambro, che è autore di La morte del sole: «una stella che si spegne… che svanisce in questa valle di stelle morenti»; la parola «schianto» la troviamo però anche nella Terra desolata nell’incipit della V sezione. Alla luce di tutto questo, possiamo dire più precisamente che il verso è una crasi tra Eliot e Joyce perché il sintagma «fine del mondo» rinvia a «The end of the world» dell’Ulisse, (trad. it. pp. 683-685); l’importanza della frase di Joyce è tale che essa è anche citata in L’ombrello e la macchina da cucire. Più in generale, possiamo rapidamente rammentare che il tema apocalittico è presente in diversi luoghi letterari e sapienziali, ben presenti ai due autori (per un approfondimento vedi Paolo Jachia, Francis Ford Coppola: Apocalypse Now, Bulzoni, Roma, 2010). A mero titolo di esempio possiamo ricordare con Sgalambro, Seneca:
gli astri cozzeranno con gli astri e nella conflagrazione universale tutti i corpi che adesso brillano in un ordine così armonioso bruceranno in un unico rogo.
Ed ancora nel Nuovo Testamento, sempre a titolo di mero esempio:
Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà distrutta.
Si veda per meglio precisare tutto questo coté anche il Trattato dell’età dove si parla di «contemporaneità alla fine del sistema solare come emozione dominante… e i miliardi di anni sono foglie secche»); e Del delitto: «Un lampo accecante che arriva dall’al di là della vita», ma vedi anche in De mundo pessimo, «la luce di questo immenso lampo finale… un lampo accecante di un cielo che si spegne».
Dato tutto questo, è bene però aver presente che «il contenuto di un pezzo di musica fu ed è, prima e dopo aver risuonato, egualmente completo e immutabile» (La morte del sole, con un rinvio al Saggio di una nuova estetica della musica di Busoni del 1906). A dire che se possiamo dare un giudizio sul comportamento umano di Gesualdo, nulla di questo incrina la perfezione della sua opera. Fatta questa premessa ecco la conclusione logica di Sgalambro:
La musica non ha ethos. Ethos ha l’ascolto… Qualsiasi cosa voglia l’autore, la musica se ne va per i fatti suoi. Tutto il resto è ascolto. Qui avviene il miracolo. La fine del mondo è rimandata… La musica non dovrebbe ‘piacere’. Dovrebbe essere oltrepassato il livello di guardia entro cui si costituisce, secondo Kant, il giudizio estetico, ossia che il bello piacerebbe senza piacere. (…) Solo l’ascolto ha ethos… chi ascolta veramente, ascolta l’ascolto. Chi ascolta veramente, ascolta la fine del mondo.
Se questa è la morale della favola e della parabola che Battiato e Sgalambro vogliono raccontarci, significativo che Gesualdo da Venosa sia forse l’unico personaggio storico a ritornare in un’altra canzone del duo: Bist du bei mir (Se tu stai con me). Da notare che ricompare qui Gesualdo come un uomo servo delle sue passioni e che egli, seppure grande artista, non è riuscito a portare dentro di sé la luce dell’arte e di un percorso autenticamente rivolto alla realizzazione spirituale. Scrive pertanto con ironia Sgalambro che Gesualdo era «musicista e assassino di grande talento» (Del delitto, p. 57).
Un accenno ora ad una presenza molto ricorrente in Battiato e in Battiato-Sgalambro: Giacomo Leopardi. È possibile, infatti, scorgere, con una leggera forzatura, dietro il «mazzetto di fiori di campo» il leopardiano «mazzolin di rose e di viole» che «reca in mano» la celeberrima «donzelletta» che «vien dalla campagna» nel Sabato del villaggio.
Infine un ultimo passaggio musicale dai madrigali al jazz. Ornithology è infatti un brano jazz composto da Charlie Parker nel 1946 e il titolo (ornitologia: studio degli uccelli) allude al soprannome del jazzista, «Bird». Sgalambro parla a lungo, e in modo entusiastico, di jazz (e di Louis Armstrong) in De mundo pessimo, (pp. 194-196), mentre ricorda un altro celebre brano di Charlie Parker, Koko, in Anatol (p. 166) e in Marcisce anche il pensiero (p. 25). La frase della canzone potrebbe essere così ricostruita: «Lo scatto da uccello tipico di Charlie Parker (lo troviamo) nella settima frase (musicale) di Ornithology, l’ultima prima della cadenza e dal da capo».
Ovvero, ancora una volta, inizio e fine del mondo.