Emma Bovary

Questa canzone ha come tema il dolore vero dei sentimenti fasulli. Non è un tema nuovo in Battiato: «Eppure, lo so bene che dietro a ogni violenza esiste il male… se fossi un po’ più furbo, non mi lascerei tentare. Come piombo pesa il cielo questa notte. Quante pene e inutili dolori». Ma il tema di Emma (emblematicamente al centro del romanzo di Flaubert intitolato Madame Bovary e la cui infelice eroina si chiama, appunto, Emma) è presente anche nell’opera di Sgalambro, prima di trovare una magistrale e sintetica definizione con Battiato. Facciamone brevemente cenno. Intanto, Sgalambro ci dà una definizione precisa dello stile di Flaubert in Madame Bovary: «Non intendevo servirmi dei mezzi della psicologia del resto… quando Flaubert descrive Emma fa della psicologia? No, la ‘narra’».

Ferma questa consapevolezza, ben diverso è il taglio della canzone di Battiato e Sgalambro. Se Flaubert è straordinario nel descrivere questa trita vicenda romantica senza alcuna sbavatura sentimentale ma con freddezza anatomica (Flaubert era il figlio di un primario anatomista), la scelta di Sgalambro e Battiato è invece quella di lavorare solo sui risvolti, solo sulle pieghe psicologiche, sulle irrisolte contraddizioni della nostra infelice, contraddittoria e velleitaria eroina; così, il verso «io mi abbandono ai miei pensieri, / né pentimenti o verità» è un riassunto perfetto in una frase delle trecento pagine del romanzo, mentre il gesto del suicidio è tradotto invece con un semplice «reclamo pietà».

Nella canzone, dunque, è Emma (Bovary) che si racconta (non si narra, si racconta) in forma preziosa e personale, anche se, naturalmente, non in maniera diretta e cronachista. Importante in questo senso notare il gioco delle stagioni: il racconto di Emma è ferito e autunnale e la protagonista sta così aspettando l’inverno e la morte. È un diario dell’anima, quello che avrebbe scritto Emma Bovary se avesse saputo scrivere ed è quello che naturalmente Flaubert non ha voluto scrivere e che invece compongono, con scelta consapevole e precisa e artisticamente efficace, Sgalambro e Battiato. In certo modo la canzone è il riassunto lirico del romanzo o meglio la trascrizione dell’eco che il romanzo lascia nella nostra anima ferita. Come avremmo voluto, romanticamente (e stupidamente) che Emma si salvasse e incontrasse il vero amore! La sapienza dell’arte di Flaubert è proprio nel negare questa stupida consolazione romantica e Sgalambro lo sa bene tanto da affermare risolutamente che il senso del romanzo è descrivere lo «spegnersi in Emma di ogni illusione». Conosciamo così meglio, attraverso la canzone di Sgalambro e Battiato, la sua solitudine, la sua sensualità, i suoi sogni romantici, le sue bugie e le sue menzogne, il senso di morte che sempre più la pervade fino al suicidio… Emma in effetti, come tante sue sorelle di ieri e di oggi e, naturalmente, come tanti suoi fratelli di ieri e di oggi, più che davvero innamorata, è innamorata di un’idea convenzionale e falsa dell’amore. La sua piccola ma feroce tragedia (narrata con esatta crudezza da Flaubert, quasi con un dantesco contrappasso) si conclude così, paradossalmente e quasi con sarcasmo, fra debiti e delusioni.

Voglio ora ricordare un secondo passo di un’opera di Sgalambro, nel quale egli ci informa di tutta l’importanza che ha avuto, anche sul piano filosofico, il romanzo di Flaubert: «Forse che Madame Bovary non è una ‘dialettica trascendentale’ se essa svela le illusioni di Emma? Per lo stesso motivo allora non è la Critica della ragion pura l’autentica Madame Bovary? Ma talvolta i generi… devono essere mescolati… così i confini tra le due opere cadevano infranti ed esse trasmigravano l’una nell’altra formandone una sola anche se immaginaria».

È in questo contesto che vorrei fare cenno, utilizzando un ultimo brano di Sgalambro, a una possibile spiegazione (a una possibile ragione filosofica) del fatto che sia la pistola l’arma del suicidio nella canzone e non il veleno, come scritto nel romanzo: «Voglio dirvi una cosa che mi pesò a lungo… la vera essenza dello spirito è la pistola, la minaccia permanente contro la vita. Che essa non manchi mai nella casa del filosofo». La vicenda di Madame Bovary è dunque riletta in chiave filosofica, meglio, come filosofia e dunque il veleno diventa, e deve diventare, rivoltella.

Notiamo che il testo è stato cantato anche da Patty Pravo con il titolo Emma Bovary e presenta, oltre che l’esplicitazione che sorregge la nostra analisi, qualche variante (e un richiamo) che segnaliamo di seguito. Mentre la traduzione del testo in francese della versione di Battiato è:

Alla fine di settembre / carico di umidità, / io mi abbandono ai miei pensieri, / né pentimenti o verità… / Il cervello si fonde alle tue menzogne / mi indigno per la tua violenza, / e reclamo pietà…

Patty Pravo canta direttamente in italiano la prima parte,

Alla fine di settembre / carica d’umidità / io mi abbandono ai miei pensieri, / né pentimenti né verità / la mia mente si scioglie nella tua bocca di bugie / lo sdegno per la tua violenza / io reclamo pietà e dicevi a me… parle-moi d’amour.

Il senso delle varianti è forse quello di asciugare il testo voltandolo al maschile; non cambia, anzi si accentua e si esplicita, nella versione della cantante, una delle grandi artiste della nostra canzone d’arte italiana, la volontà di dare parola ai pensieri e al tumulto interiore di Emma Bovary, al suo convulso desiderio d’amore (e di morte, nascosto nelle vesti del misterioso e baudelairiano «capitano» del quale abbiamo fatto cenno).

Infine trascriviamo, come promesso, un riassunto tendenzioso del famoso romanzo di Flaubert edito a Parigi nel 1857 e dunque fratello (gemello) del volume che apre la poesia moderna e contemporanea I fiori del male di Baudelaire. Prima ricordiamo che l’opera di Baudelaire è saccheggiata da Battiato e Sgalambro fino a regalare la parola «fleurs» a tre album; Invito al viaggio, la poesia di Baudelaire musicata e riscritta da Battiato e Sgalambro termina, infatti, così: «Le matin j’écoutais les sons du jardin la langage des parfums des fleurs». Torneremo su Baudelaire ma qui va detto che il misterioso «capitano» viene dall’opera capitale del poeta francese: «Oh morte vecchio capitano è tempo leviamo l’ancora. Questa terra ci annoia, Morte».

Charles Bovary, modesto medico di provincia, sposa in seconde nozze la bella Emma Rouault, figlia di un proprietario terriero. Emma, il cui temperamento sognatore è stato nutrito da letture sdolcinate e romantiche, è presto delusa dalla mediocrità del marito, che, se pure con i limiti d’intelligenza e di gusto che gli sono propri, l’ama profondamente. Così Emma inizia a intristire e il marito, preoccupato, del suo stato, decide di trasferire la famiglia (nel frattempo è nata una bimba) a Yonville, nella speranza che il cambiamento le giovi (artefice di questo trasferimento è il farmacista Homais). A Yonville Emma è corteggiata da Léon, praticante notaio, ma il giovane non osa dichiararsi e parte per Parigi. Emma allora si lascia sedurre da Rodolphe Boulanger, un banale dongiovanni di provincia e ha un breve periodo di felicità, ma non tarda a stancare l’amante con i suoi eccessi. Ed è così che Rodolphe, spaventato dalla proposta di fuggire insieme, l’abbandona. Emma ne è sconvolta tanto che alla notizia dell’abbandono sviene, s’ammala, resta a lungo tra la vita e la morte. Quando la giovane donna in parte si riprende è ormai una donna spezzata che cerca in qualche modo di sopravvivere alla fine dei suoi sogni. Flaubert è straordinario nel descrivere tutto questo senza fare psicologia ma narrando tutto questo in modo quasi distaccato; Sgalambro è attento, lo abbiamo già detto, a tutto questo, e al contrario sceglie, nella canzone che scrive insieme a Battiato, di portare attenzione proprio ai risvolti e alle pieghe psicologiche.

È in questa complessa situazione esistenziale (un fondo violento di delusione costellato dai bagliori dei sogni infranti) che Emma ritrova Léon più ardito dopo il soggiorno parigino. Madame Bovary inizia così con il giovane un’intensa relazione convinta di riuscirlo a legare a sé, anche se ben presto il turbinio inquieto con cui la donna circonda l’amante stanca anche lui. Comincia ora quella che per semplificazione potremmo chiamare la sua «degradazione» e «perdizione»: Emma, infatti, per proseguire la relazione con qualche piccolo agio, s’indebita con un usuraio e non sa come pagarlo, e naturalmente anche i debiti sono stati contratti all’insaputa del marito. Disperata, Emma chiede inutilmente a Léon e Rodolphe di aiutarla. Di fronte alla delusione di quest’ultimo diniego, Emma si uccide atrocemente con il veleno. In particolare, queste pagine sono scritte con un taglio da manuale di medicina, in modo quasi freddo e distaccato: il pensiero dell’autore, infatti, qui, ma in tutto il romanzo, resta volutamente segreto e apparentemente impassibile; non vi è in effetti, a differenza ad esempio di un Manzoni, alcuna morale evidente ed esplicita, nessun manzoniano sugo della vicenda narrata.

Il romanzo si chiude come si era aperto, con Charles Bovary in primo piano. L’uomo, ossessionato e assillato dal ricordo della moglie e dalla scoperta postuma dei suoi tradimenti, che pure dentro sé ha in qualche modo perdonato, si lascia lentamente morire. Di fronte a questa duplice morte, desolata e desolante, trionfano, a voluto contrasto, il cinismo e la volgarità incarnate in Homais, il farmacista, che prosegue la sua astuta carriera fino a ottenere la Legion d’onore (proprio questa «Legion d’onore» l’ultima parola, feroce in questo contesto, del romanzo).

Notiamo infine che il sottotitolo del romanzo era «costumi di provincia». Aggiungiamo due parole: eterni e universali, come d’altronde il romanzo di Flaubert che non poteva quindi mancare tra i punti di riferimento di Battiato e Sgalambro.

Del delitto, p. 146
Sgalambro sta parlando della protagonista del romanzo filosofico intitolato Del delitto
La vicenda di Madame Bovary è la storia di un’adultera infelice che, delusa e stanca del marito e degli amanti e della monotonia profonda della vita che conduce, si uccide; ma riassumeremo più distesamente la trama del romanzo in calce
In realtà in francese il termine utilizzato pentiment non esiste; sarebbe piuttosto repentance
cfr. La morte del sole, p. 166
Torneremo su cosa intendono Battiato e Sgalambro per amore
Anatol, p. 106
È Anatol che parla ovvero l’alter ego filosofico di Sgalambro
I fiori del male di Baudelaire
Il termine sintetico e infelice, e pure efficace, è di Benedetto Croce che lo usa nel capitolo dedicato a Flaubert nel suo libro Poesia e non poesia

Questa canzone ha come tema il dolore vero dei sentimenti fasulli. Non è un tema nuovo in Battiato: «Eppure, lo so bene che dietro a ogni violenza esiste il male… se fossi un po’ più furbo, non mi lascerei tentare. Come piombo pesa il cielo questa notte. Quante pene e inutili dolori». Ma

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