Casta Diva

Questo piccolo gioiello perfetto del canzoniere di Battiato sprigiona un fascino davvero sottile e singolare: il suo ascolto è, infatti, quasi ipnotico in quanto ha una circolarità che ammalia e crea quasi un gorgo spaziotemporale nel quale si sprofonda. È, nondimeno, o proprio per questo, una canzone che non presenta particolari difficoltà di comprensione ma è costruita con perfezione e assoluta semplicità. C’è un eroe, un principe divino; c’è un cattivo che trama nell’ombra, perché si presenta come alleato ma è un avversario; ci siamo noi che guardiamo commossi il dolore e lo splendore dell’Eroe Divino e ne siamo attraversati fino in profondo.

Afferma Battiato: «Credo che ognuno di noi abbia individuato i propri modelli e tutte le volte che incontri uno scrittore, un artista che ti fa esplodere in ammirazione capisci che quello è un possibile modello per come intendi la vita. Per me, inoltre, la Callas ha rappresentato l’assoluta perfezione interpretativa».

Da notare che la campionatura scelta da Battiato, e anche il titolo ufficiale della canzone, riprendono quello che è stato un po’ l’emblema della Callas, appunto Casta Diva; ovvero l’aria più famosa e celebre della Norma di Vincenzo Bellini; in realtà, tra i grandi meriti storici della Callas va proprio ricordata la rivalutazione del repertorio melodrammatico italiano del primo Ottocento di Bellini, Donizetti, Cherubini…

Che altro dire? Sottolineare, tornando alla costruzione della canzone, la perfezione e la rapidità quasi cinematografica del dettato e delle scene.

Scena prima: la madre che stanca dell’America e di suo marito prende le mani dei figli e le valigie e ritorna nella terra degli Dei: si passa da un’America fredda e buia a un’esplosione di luce e di colore che Maria assorbe e divora; «eri una ragazzina assai robusta, non sapevi ancora di essere divina»: è la seconda scena, quel momento magico dove uno diviene se stesso… poi, terza scena, vertiginoso, il successo descritto come un succedersi di navi, treni, stanze d’albergo, invidie e gelosie… e poi il tradimento, «un vile ti rubo serenità e talento» e l’epilogo, l’epitaffio: «Divinità dalla suprema voce», la musica, l’arte, l’umanità «non ti scorderà mai».

Ma chi era Maria Callas e perché la sua figura ha travolto così in profondo Battiato? Per raccontare Maria Callas mi piace usare uno stralcio di un’intervista di Dario Fo, premio Nobel nel 1999, che recentemente ha scritto un libro sulla Divina (cui rimandiamo per ogni approfondimento) e che potremmo intitolare Una Callas sconosciuta. Dice Fo:

È stata Pia, la sorella di Franca a farci venire la voglia di scrivere la vera storia della Callas. Pia faceva la sarta, era bravissima, tutti si rivolgevano a lei per risolvere ogni tipo di problema. Anche la Callas: mentre Pia le aggiustava i vestiti, lei si sfogava, piangeva, rideva. Una donna diversa dall’iconografia ufficiale e dai gossip che ci fioriscono intorno. Il suo temperamento, il suo coraggio, le enormi sofferenze, le umiliazioni, il rapporto con il cibo, il grande amore tradito con Onassis, un vero gangster che la abbandonò senza pietà. Ma anche le vicende artistiche meno note, i bidoni che si prese, l’infanzia americana, il ritorno in Grecia… Insomma volevamo restituirle la sua verità, anche buffa.

Per capire però che cosa davvero della Callas ha affascinato Battiato dobbiamo tornare a quel culto delle «emozionali imprese della specie» che è un po’ il marchio di fabbrica della Premiata Ditta Battiato-Sgalambro. A chiudere, pertanto, vorrei riportare un pezzo di una conversazione del filosofo che dice qualcosa di analogo a quello che troviamo in questa canzone che, solo in apparenza, sembra più legata al mondo di Battiato. «La filosofia è un ammasso di porcate ma si salvano dieci, quindici meravigliose individualità filosofiche le quali hanno appunto l’eroismo dell’andare oltre, dell’azzardare… perché non si scalano soltanto per coraggio le montagne alte seimila metri ma (anche) i problemi (filosofici) alti seimila, dodicimila metri…».

Che sia una donna, Maria Callas, non conta nulla, o non fa differenza, quello che conta è che essa è «un’immagine divina di questa realtà», cfr. E ti vengo a cercare, 1988
l’Avversario, Satana, o, meglio ancora, un uomo dominato dalla materialità assoluta, dal danaro
«La tua temporalità mi è entrata nelle ossa»
Battiato-Giustini 1999, p. 13
«tua madre stanca dell’America e di suo marito, / prese i bagagli e le vostre mani, / vi riportò indietro nella terra degli Dei.»
«eri una ragazzina assai robusta, / non sapevi ancora di essere divina»
«Ti strinse forte il successo»: «Ti accoglievano navi, aerei e treni, invidie, gelosie e devozione»
«un vile ti rubo serenità e talento»
«Divinità dalla suprema voce», «la musica non ti scorderà mai».
Franca Rame, la moglie di Dario Fo
Nata nel 1923 con il nome di Maria Kalogeropulos in America e morta nel 1977 a Parigi
Corriere della Sera, 28/11/2014
Incontro con Sgalambro, Perelandra 3/4, gennaio-agosto 2002, p. 113

Questo piccolo gioiello perfetto del canzoniere di Battiato sprigiona un fascino davvero sottile e singolare: il suo ascolto è, infatti, quasi ipnotico in quanto ha una circolarità che ammalia e crea quasi un gorgo spaziotemporale nel quale si sprofonda. È, nondimeno, o proprio per questo, una canzone che non presenta particolari difficoltà di comprensione […]

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