Bist du bei mir
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¶Ardo dal desiderio di vederti
Forza perenne delle catene
Di stare in mezzo a tanta gente
La forza della vita è nel denaro.
Ma soprattutto la ricchezza virtuale
Sta più in alto di quella reale.
Ma soprattutto la ricchezza virtuale sta più in alto.
¶Bisognerebbe scacciare le avversità come si fa con le mosche.
Per chi rimane incosciente, le colline sono ancora in fiore.
Risuona un mambo nella cavea e il mondo semplicemente gira
¶La luce abbagliò i miei sensi come in un quadro di Monet
Mentre l’estate insidiava il giovane Gesualdo.
Risuona un mambo nella cavea e il mondo semplicemente gira,
¶Sull’orlo di un precipizio mi inviti adesso a giocare.
Bist du bei mir geh ich mit Freuden
Zum Sterben und zum meiner Ruh
Bist du bei mir mit Freuden.
All’interno della consueta antropologia dualistica (bene e male) questa una possibile e semplificata parafrasi complessiva: il desiderio («ardo dal desiderio») deve essere educato per divenire gioco libero, luce, gioia, coscienza della falsità di quanto è (o appare) reale al mondo e nel mondo (se al contrario continuiamo a vivere in modo incosciente saremo per sempre schiavi delle passioni e dell’eterno divenire del mondo).
In questo percorso educativo e autoeducativo, in questo percorso di autocoscienza, l’arte e la dimensione spirituale, «la ricchezza virtuale», possono insegnarci ad essere nel mondo senza essere prigionieri del mondo e a superare quanto ci infastidisce («le mosche») o ci rende schiavi («le catene» dei desideri materiali e in particolare «il denaro»).
Gesualdo (da Venosa, grande musicista barocco) non riuscì a farsi illuminare dalla luce dell’arte («la luce» spirituale che troviamo, ad esempio, in «quadro di Monet») e dalla dimensione spirituale che è riuscita invece a illuminare ed educare i miei sensi. Gesualdo finì, invece, travolto dal gorgo circolare delle sue giovanili passioni («Mentre l’estate insidiava il giovane Gesualdo. / Ri-suona un mambo nella cavea e il mondo semplicemente gira»).
Al contrario, se tu, mia guida spirituale (mio amore spirituale e segreto) continuerai ad illuminare il mio percorso, io sarò in grado di affrontare anche la prova più dura, la morte, senza essere travolto dal terrore infantile che essa ci incute («Se tu stai con me andrò con gioia / incontro alla morte e al mio riposo… sull’orlo di un precipizio mi inviti adesso a giocare»). Francesco Santo e Giullare di Dio cantava:
Laudato sii, mi Signore per sora nostra morte corporale / da la quale nullu homo vivente pò skappare.
Afferma Battiato:
Le esperienze che appariranno al momento della morte sono inconcepibili. La cosa più importante è ricordare di non essere tristi o depressi, non ve ne sarebbe motivo. Bisogna mantenere piuttosto l’atteggiamento di un viaggiatore che ritorna a casa.
È vero, cioè, che la nostra vita è destinata a finire, ma seguendo te, mia guida spirituale, sarò in grado di viverla come un’esperienza comunque luminosa e positiva.
Data questa prospettiva, due considerazioni apparentemente opposte. La prima è che la realtà ultima del mondo è lo svanire di tutto nella morte («il mondo semplicemente gira»: ciò che è vivo oggi, domani sarà morto), la seconda è che l’arte ci apre la porta di una realtà ulteriore non immediatamente razionale o non esclusivamente razionale, e in questo il suo valore non solo estetico ma etico e religioso («Se tu stai con me andrò con gioia / incontro alla morte e al mio riposo / se stai con me con gioia»); scrive in questo senso Sgalambro che l’arte «consola malgrado la verità», dove malgrado vale anche attraverso e anche grazie alla verità. L’arte è davvero qualcosa di necessario all’uomo per imparare ad affrontare la vita e la morte, ovvero la verità ultima del mondo.
Afferma Sgalambro:
E così scocca il bello, come una scintilla prima, e poi come un fuoco in cui brucia il corpo vile del reale… quello che resta è il bello… questa è la trascendenza del bello… la bellezza è l’esodo da questo mondo.
E ancora Sgalambro:
Qui siamo al punto in cui l’estetica sta per mutarsi in etica.
Qui vi è cioè il più importante retaggio dell’estetica: che di essa si possa vivere… Essa tratta la vita e la morte come piume leggere che può sollevare con l’alito.
Coglie questo punto Fabio Bagnasco il quale, sia pure parlando del cinema di Battiato e Sgalambro, svolge una riflessione che vale per l’arte nel complesso:
Battiato suggerisce un modello estremo ed eversivo (ndr. di arte) che non mancherà certo di dividere sia critici che spettatori, ponendo problemi etico/estetici, scardinando ataviche pigrizie interpretative, sollecitando una radicale riflessione sul futuro prossimo dell’arte.
La vera arte, ad esempio quella di Monet, ci porta davvero all’illuminazione, alla comprensione della verità di un mondo che altrimenti «semplicemente gira» in un ciclo di dolori senza senso. Il mondo per chi non è cosciente può apparire illusionisticamente una vallata fiorita – «le colline sono ancora in fiore» – quando invece è, anche, e più realisticamente, un infinito, e desolato, camposanto. Sgalambro parla a questo proposito del «bruto darsi del perenne ciclo cosmico»; se non educato, dunque, «il represso non cessa di agire e proietta ovunque il suo incubo»: e nulla è oggi più occultato e rimosso del nostro destino di morte, vissuto sempre più spesso come un incubo e non come «gioia e riposo». Non è qui possibile un’articolata dimostrazione ma non possiamo non segnalare che la posizione di Sgalambro deriva (anche e forse soprattutto) da Plotino e dalla sua concezione estetica: per Plotino l’opera d’arte non è bella in sé, come oggetto, ma per quello che vi traspare, per l’Idea che vi traspare. Costante in Sgalambro è in effetti il riferimento al filosofo greco. Importante allora ricordare anche che, al centro della riflessione di Plotino, vi è sempre la convinzione che l’uomo, pur essendo parte del mondo naturale, ha tuttavia la possibilità di rischiararsi, «è cioè come un esule a cui è concessa, tuttavia, la via del ritorno…».
E l’arte può essere un passo in questo cammino. Significativo allora che Sgalambro, parlando dell’arte del compositore catanese, affermi:
Il tentativo di Battiato non è di guardare queste stanche immagini… ma attraverso esse le Idee.
L’arte, e tutto quello che è spirituale, è dunque «un niente, un pugno d’aria… eppure…».
Eppure questo niente (artistico e spirituale) è quello che davvero conta nella vita. Conclude Sgalambro:
Devo confessare di avere una certa tendenza al lato estetico delle idee.
Capitale allora per la comprensione della canzone una riflessione ulteriore e sintetica di Sgalambro:
E in ogni caso la ricchezza materiale, per definizione, non può che essere particolare mentre… quella spirituale è universale;
se vogliamo capire qualcosa del mondo e della vita e della morte è dalla prospettiva dell’arte e dello spirituale che dobbiamo porci, mentre la materialità ci costringe a una visione meschina, individualistica e disperata. Insomma, possiamo ragionevolmente leggere i versi «ma soprattutto la ricchezza virtuale / sta più in alto di quella reale» come «ma soprattutto la ricchezza spirituale / sta più in alto di quella materiale».
È così una coscienza duplice quella che la canzone -e il tipo di arte che essa ci propone- ci esorta ad acquisire: da un lato, la consapevolezza che «quanto piace al mondo è breve sogno», dall’altro che la vita è -anche- una luce e una gioia irrinunciabile: «laudato sii, mi’ Signore per… omne tempo», per ogni tempo, per la buona e la cattiva sorte, per la vita e per «sora nostra morte corporale».
Ora è necessaria un’ulteriore considerazione che nasce da questa amara, e sarcastica, frase di Sgalambro che la canzone sottintende:
la dissacrazione dei valori trova nel valore del denaro l‘effettivo valore.
Data questa prospettiva, compreso cioè che cosa ha davvero valore, possiamo chiederci cosa sia davvero la morte e cosa può davvero consolarci di un destino, comunque, certo: «La consolazione per la tua morte non è l’immortalità, ma le parole che ti sussurra la tua compagna… Lei ti deve dire esattamente che muori, con le parole giuste. Con lo spasimo ti arriverà il balsamo». Ecco il valore dell’arte, delle sue giuste parole, l’educarci non solo alla morte inevitabile e certa ma anche alla contemplazione e all’entusiasmo per la bellezza della vita:
Ardo dal desiderio di vederti… bisognerebbe scacciare le avversità come si fa con le mosche… la luce abbagliò i miei sensi come in un quadro di Monet.
Caratteristica di Sgalambro è la fede nel potere che ha la parola contro la morte e come strumento di «consolazione» e «cura»: nella parola c’è luce, afferma Sgalambro, ma purché questa parola non sia vuoto flatus vocis ma sia verbo reale, voce capace d’opposizione e di resistenza alla morte ed anche, in coerenza, di «tenerezza»; rammentiamo in questo senso un verso in cui Sgalambro e Battiato sintetizzano questo percorso: «rallenta il cuore, muta la furia in ebbrezza, / in tenerezza».
Da notare che in questa canzone -a tutti gli effetti una profondissima riflessione sul valore dell’arte in un mondo destinato a perire- ricompare Gesualdo da Venosa presentato, ancora una volta, come un uomo servo delle sue passioni e che, pur grande artista, non è riuscito a portare dentro di sé la luce della sua, pur grande, arte: scrive così, con ironia, Sgalambro che Gesualdo era «musicista e assassino di grande talento». Ne viene che dobbiamo seguire il messaggio di liberazione della sua arte e non il suo esempio di uomo schiavo delle sue passioni (la luce dell’arte «fece luce» – cioè s’impose – ai miei sensi, come in un quadro di Monet, al contrario del giovane Gesualdo che invece fu insidiato e travolto dal calore di una passione violenta e non controllata, come l’estate). Afferma Battiato dandoci un esempio di doppio giudizio:
Adoro i personaggi estremi nello spirito e nelle scelte esistenziali… Non ho mai apprezzato Benedetti Michelangeli per come si comporta con il pubblico. Nel suo modo di atteggiarsi che qualcosa che non va. Apprezzo in lui un’altra cosa: la sua abnegazione, il fatto di chiudersi in se stesso e studiare, studiare, studiare…
Va ora osservato, forse anche per stemperare il tono alto del ragionamento finora sommariamente esposto, che Battiato ci regala, oltre a un tessuto musicale di estremo fascino, un lampo del suo antico umorismo: infatti «le colline sono ancora in fiore» sono un evidente richiamo a una canzone di Sanremo 1965 cantata da Wilma Goich.
Infine, in «Sull’orlo di un precipizio mi inviti adesso a giocare», troviamo forse un’eco di un’altra frase di Sgalambro di cui qui vogliamo sottolineare l’importanza che consiste nella necessità di mettere in comune e nel condividere la nostra sorte:
uomini che si tengono stretti sull’orlo di un abisso, come se solo così potessero affrontare il pericolo… questo per me è comunismo.
Notiamo anche che Sgalambro ha scritto un Dialogo sul comunismo dove troviamo queste frasi:
I mezzi di annientamento di massa corrispondono al ritorno in grande stile del valore al posto dell’essere. Se vuoi ancora che tragga fuori questa oscura mia evidenza e gli dia una qualche luce, comune io vedo, per dirtene una, il principio di non contraddizione, l’imperativo categorico, comuni i principi della scienza, il sapere circa il nostro sistema solare, quel tanto che basti per guardare in faccia la nostra sorte – intendo della specie. È a questo comunismo che mi riferisco.
Si affaccia qui «l’idea di un comunismo metafisico assolutamente inedito». Sgalambro precisa subito perentoriamente che
non si tratta di un comunismo dei beni materiali, dell’eguaglianza sociale, del ripristino della giustizia nella società o del potenziamento delle libertà individuali, al contrario la comunità che già ora è possibile intravedere e costituire discende dal senso di comune appartenenza all’essere mortali. Il comunismo, l’unico comunismo possibile, sarà metafisico perché accomunerà tutti gli uomini nella morte, rivelando al contempo la loro vera essenza di morenti. L’icona della morte totale è la fine del sistema solare, la sua implosione gassosa. Nel momento in cui si potrà vivere costantemente alla presenza di questo nuovo Dio della fine, alla luce del quale è cartesianamente possibile discernere lo stato di veglia dal sogno e conoscere la verità, allora s’instaurerà l’unico vero ethos dell’umanità, cioè essere contemporanei tutti insieme della morte comune. Questa è la sola morale che contraddistingue il comunismo metafisico.
Troviamo parole analoghe in Battiato il quale afferma:
Quanto a me, la mia scelta politica è che non amo comandare, né essere comandato: vagheggio un comunismo ideale, che non ha niente da spartire con l’Urss e con la Cina.
L’ultima citazione non può però non essere una più vasta contestualizzazione dell’epigrafe con la quale abbiamo aperto la nostra riflessione:
Non cambiare il mondo: diventa morte e potrai raggiungere la tua parte immortale. Per scoprire il segreto dell’ignoto occorre attraversarlo, arrendersi alla grazia disarmati. Tra mille anni cercherei di vederti attraverso i tuoi stessi occhi, o salvarti dall’abisso di colui che in passato dimorò nei tuoi stessi giorni.
All’interno della consueta antropologia dualistica (bene e male) questa una possibile e semplificata parafrasi complessiva: il desiderio («ardo dal desiderio») deve essere educato per divenire gioco libero, luce, gioia, coscienza della falsità di quanto è (o appare) reale al mondo e nel mondo (se al contrario continuiamo a vivere in modo incosciente saremo per sempre schiavi delle passioni e dell’eterno divenire del mondo).
In questo percorso educativo e autoeducativo, in questo percorso di autocoscienza, l’arte e la dimensione spirituale, «la ricchezza virtuale», possono insegnarci ad essere nel mondo senza essere prigionieri del mondo e a superare quanto ci infastidisce («le mosche») o ci rende schiavi («le catene» dei desideri materiali e in particolare «il denaro»).
Gesualdo (da Venosa, grande musicista barocco) non riuscì a farsi illuminare dalla luce dell’arte («la luce» spirituale che troviamo, ad esempio, in «quadro di Monet») e dalla dimensione spirituale che è riuscita invece a illuminare ed educare i miei sensi. Gesualdo finì, invece,
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Dichiarazioni
Fëdor Dostoevskij ha scritto che la bellezza salverà il mondo. La bellezza… l’importanza della bellezza … cosa le fanno venire in mente?
Io ho sempre creduto, da un punto di vista strettamente personale, che sia necessario affermare un nuovo senso estetico. E che soprattutto gli artisti abbiano il dovere di non fare i conti con il mercato ma con il senso della bellezza…
Una bellezza fatta di fusioni, una bellezza ‘globalizzata e globalizzante’, oppure una bellezza che induca a un ritorno alle radici, all’etnia, alla propria terra?
Penso che Dostoevskij facesse riferimento alla poesia, alla pittura, all’arte in quanto tali. Per cui questo è un falso problema. Occorre ispirarsi al senso della bellezza in sé, al senso estetico che ciascuno di noi possiede. È questo l’intuito che ho sempre seguito, e che seguo, ad esempio, lavorando al mio nuovo film. C’è un pubblico silenzioso che mi ha dato già con il primo (Perduto amor del 2002) tante soddisfazioni.
Poesia, musica, pittura, cinema: mi tolga una curiosità, quando ha iniziato avrebbe mai immaginato di provare il bisogno di cimentarsi con tutte queste forme di arte?
No, per niente. Ma adesso che ci sono, sento il bisogno di continuare a navigare…
[LA BELLEZZA CHE CI PUÒ SALVARE, LIBERTÀ E GIUSTIZIA, 23/2/2004]
Distingueva tra uomini che hanno un valore e uomini che hanno solo un prezzo
[SGALAMBRO, ANATOL, P. 141]
Non cambiare il mondo: diventa morte e potrai raggiungere la tua parte immortale
[BATTIATO, ATTRAVERSANDO IL BARDO. SGUARDI SULL’ALDILÀ, P. 57]